
Sundas12 Rule’ è la proposta che vuol far cambiare il volto del calcio italiano. L’iniziativa nasce dall’idea di Alessio Sundas, un athletes agent che ha deciso di portare all’attenzione di Gianni Infantino, Aleksander Čeferin e dei vertici del calcio mondiale e italiano una questione tanto tecnica quanto identitaria: ovvero l’idoneità al tesseramento nelle squadre italiane per i giocatori non comunitari, anche se nati in Italia. La norma che, ancora oggi, finisce per penalizzare giovani cresciuti nei vivai del nostro Paese. Sono ragazzi che parlano italiano, vivono secondo la nostra cultura e rappresentano, a tutti gli effetti, un potenziale capitale umano per il futuro del calcio azzurro.
Alessio Sundas riporta all’attenzione di FIFA e UEFA un tema già sollevato nel 2015: la questione dei giocatori extracomunitari. La Regola Sundas12, pensata per tutelare e promuovere i giovani talenti italiani, ma anche i giocatori extracomunitari, nati in Italia da genitori stranieri, in modo che possano ricevere lo spazio e le opportunità che meritano. Grazie alla Regola Sundas12, i giocatori beneficerebbero di profili tecnici migliorati, con particolare attenzione allo sviluppo dei loro valori metrici (KBI – Indicatori Biometrici Chiave) – un passo fondamentale verso la costruzione di un futuro più meritocratico e competitivo per il calcio italiano.
Sundas, da sempre promotore di modelli innovativi per lo scouting e lo sviluppo del talento, collega questa riforma anche alla necessità di rilanciare un sistema in evidente sofferenza. Basta guardare i numeri: la Nazionale Italiana fatica a imporsi, i club sono indietro rispetto a Inghilterra, Germania e Spagna non solo in termini economici, ma anche e soprattutto nella capacità di produrre campioni in casa. Ed è qui che la “Sundas12 Rule” svela tutta la sua portata simbolica: rimettere i vivai al centro del progetto, restituendo fiducia e spazi ai settori giovanili italiani. Perché, inutile girarci attorno, senza riforme strutturali e legislative, il talento da solo non basta.
Sundas accompagna la proposta con una visione concreta, fondata sull’uso della tecnologia. Il suo algoritmo KBI (Key Biometric Indicators), parte del progetto Algorithm Soccer, permette di analizzare oggettivamente le performance dei calciatori attraverso indicatori biometrici e tecnici. Una rivoluzione silenziosa, che va a colmare quel gap tra intuizione tecnica e valutazione scientifica, unendo la tradizione calcistica italiana all’innovazione più avanzata. È proprio questo uno degli aspetti più interessanti dell’approccio Sundas: coniugare la passione con la precisione, il sogno con l’algoritmo.
“Nonostante le evidenze, il calcio italiano sembra restio ad abbracciare il cambiamento. Si continua a parlare di “giovani da valorizzare” senza creare le condizioni normative per farlo. I vivai languono, le società si affidano a logiche di breve termine, e il talento — quello vero — spesso resta bloccato, frenato da barriere che che hanno poco a che vedere con lo sport. La “Sundas12 Rule”, se accolta, potrebbe aprire un varco verso un calcio più equo e meritocratico, in cui essere nati e cresciuti in Italia conti più di una carta d’identità. Un calcio in cui i numeri, i dati e la qualità determinano il futuro dei ragazzi. Un calcio che guarda al domani senza rimpiangere un passato che non tornerà più.
L’appello è stato lanciato ai piani alti, ma riguarda tutti: federazioni, club, dirigenti, allenatori e chi ogni giorno lavora con i giovani e sa quanta frustrazione può nascere quando il talento viene ostacolato da cavilli burocratici. E riguarda anche i tifosi, che vorrebbero tornare a vedere una Nazionale competitiva, piena di ragazzi cresciuti nel nostro paese, pronti a difendere quei colori non solo con il cuore, ma anche con il diritto.
Per Sundas è arrivato il momento di ascoltare proposte coraggiose come questa. “Di smettere di voltarsi dall’altra parte. Di credere, ancora una volta, che il futuro del calcio italiano possa essere scritto dai suoi figli, indipendentemente dal luogo di nascita dei loro genitori. Perché il talento non ha passaporto. E nemmeno il merito”.
